Terremoti, come e cosa rischiano Cerignola e Basso Tavoliere. Allarme Foggia.
Lo sciame sismico in Grecia ed in Albania ha aperto la discussione sulla “sismicità” della Puglia e delle zone della Capitanata. Una placcaquella Adriatica, lega i Balcani e la Puglia e, di pari passo, gli Appennini e le Alpi Dinariche tendono ad avvicinarsi. “Tredici comuni del Subappennino dauno risultano zona 1, a pericolosità elevata – ricorda Nicola Venisti, dell’Università di Bari, in un’intervista a Repubblica- tutta la provincia di Foggia e parte della Bat zona 2. A scendere Bari, Brindisi e Taranto zona 3″. Dunque è elevato il rischio sismico per la Capitanata.
Tanto che, nel Basso Tavoliere, il 20 marzo del 1731, si scatenò uno dei più violenti terremoti avvenuti nella storia sismica italiana, con epicentro proprio tra Cerignola, Stornara e Stornarella: 6.4 di magnitudo che interessò anche i centri di Foggia, Canosa di Puglia, Orta Nova, Tressanti, Ascoli Satriano, Molfetta ed Orsara di Puglia, oltre che a Barletta, Bisceglie, Lucera, Manfredonia, San Severo, Trani.
Quali sono, dunque, i pericoli per il territorio? Lo svela un’inchiesta del 2013 di Fabrizio Gatti de L’Espresso, che ha studiato i database della Protezione Civile. Il calcolo è basato su una serie di fattori oggettivi (dall’età degli stabili ai materiali utilizzati, dalla densità demografica all’intensità delle scosse più forti registrate nei territori).
Se oggi un terremoto si abbattesse a Cerignola, ad esempio, sarebbero 1.313 le persone coinvolte (ovvero morti e feriti) e almeno 10.545 rimarrebbero senzatetto. Sono queste le stime racchiuse nei rapporti riservati della Protezione Civile e, se oggi il centro ofantino fosse colpito da un sisma con un’intensità pari alla massima già registrata localmente, il bilancio sarebbe disastroso per diversi fattori: materiali utilizzati per costruire gli edifici, età degli stabili, e soprattutto i pochi spiccioli destinati alla prevenzione da grandi calamità naturali.
«Il calcolo tiene conto di parametri locali come la densità degli abitanti, la vulnerabilità degli edifici in base all’anno e al materiale di costruzione, l’altezza dei palazzi e tutto quanto la Protezione civile aggiorna nel Sige, il sistema informatico di gestione delle emergenze. Ogni scheda- scrive Fabrizio Gatti su L’Espresso- offre tre scenari: terremoti di intensità più bassa (maggiore probabilità che si verifichino nell’arco di 50 anni), media e forte (corrispondenti alla massima intensità storica registrata in quel luogo)».
In Italia i centri più a rischio, dove si registrerebbe il maggior numero di morti e feriti, sono: «161.829 a Catania, 111.622 a Messina, 84.559 a Reggio Calabria, 45.991 a Catanzaro, 31.858 a Benevento, 19.053 a Potenza, 73.539 a Foggia, 24.016 a Campobasso, 20.683 a Rieti. Nemmeno Roma verrebbe risparmiata con 6.907 abitanti sotto le macerie. A Verona sarebbero 7.601, a Belluno 17.520, a Brescia 5.224. Anche Milano dovrebbe organizzare le ricerche e il soccorso di 962 persone travolte dai crolli e l’assistenza a 26.400 senza tetto».
«Se confrontiamo il database riservato della Protezione civile con la media mondiale, finiamo direttamente tra i Paesi arretrati. Ipotizzando un sisma di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale, intensità ritenuta possibile perchè già registrata in passato- spiega Gatti-, si prevedono fino a 11.000 morti e più di 15.000 feriti. La media mondiale per un sisma di quel livello si ferma a 6.500 morti e 20.500 feriti. In Giappone a 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri tra Italia e Giappone è chiaramente dovuta alle tecniche di costruzione impiegate e agli investimenti nella prevenzione».
A parità di intensità del terremoto, in Italia 11mila morti, in Giappone 50.
Però le fiaccolata che organizziamo noi, ce le invidia il mondo intero
ho letto le critiche dei cafoni cerignolani a questo articolo su facebook…
ridicoli …. non vogliono che si parli dei problemi perchè senno hanno l’angoscia …
cerignolani fate ridere abbiamo fatto un gruppo whatsapp con tutte le cose dementi che dite