Sessantatre anni fa la morte di Di Vittorio: ecco l’ultimo discorso
Il 3 novembre del 1957 si spegnava a Lecco Giuseppe Di Vittorio, aveva 65 anni e dal 1945 era segretario della CGIL.
La biografia personale di Di Vittorio è straordinaria: è il bracciante povero e autodidatta che assurgerà alla carica più importante del sindacalismo italiano. Di lui si ricorda il grande spessore umano, un’empatia con le masse costante e ricambiata, l’originalità del suo percorso politico che dopo 65 anni lo fa essere ancora così amato e ricordato.
Emblematica, da questo punto di vista, la straordinaria manifestazione di affetto che la gente tributò a Giuseppe Di Vittorio dopo la sua morte. Un infarto improvviso lo colse a Lecco durante un comizio nel 1957. Nel viaggio del treno che da Lecco riportò il feretro a Roma, ogni stazione intermedia si trasformò in una pubblica camera ardente con migliaia di persone che accorrevano a dare l’ultimo saluto a “uno di loro”. Quello di Giuseppe Di Vittorio è stato dunque un modo importante di interpretare il sindacato attraverso un senso identitario dell’agire sindacale, capace di suscitare un sentimento emotivo forte e vissuto. Ma Giuseppe Di Vittorio è stato anche un grandissimo sindacalista, capace di un pensiero sindacale innovativo, coerente e profondo, spesso in grado di precedere gli avvenimenti.
Fare sindacato per Di Vittorio significava pensare sindacato, alla persona e al lavoratore nella sua dimensione di dignità individuale e nella sua condizione di soggetto sociale capace di emanciparsi attraverso la collettività della sua azione; scrive Di Vittorio:
“Il progresso sociale e la costruzione di una società nella quale il lavoro sia liberato dallo sfruttamento capitalistico, sono possibili soltanto con il consenso e con la partecipazione attiva della classe operaia e delle masse popolari, garanzia della più ampia affermazione dei diritti di libertà, di democrazia e di indipendenza nazionale”.
Il pensiero sindacale di Giuseppe Di Vittorio conserva tratti di attualità addirittura sorprendenti per quanto concerne molti aspetti: l’attenzione ai diritti dei lavoratori intesi come grandi momenti di emancipazione dell’individuo attraverso i soggetti collettivi della rappresentanza; l’unità del sindacato come condizione indispensabile per la quale battersi e impegnarsi costantemente perché precondizione dello sviluppo di tutto il Paese, di un interesse generale; il valore dell’autonomia del sindacato.
Giuseppe Di Vittorio è stato un grande antifascista, un padre della Repubblica, eletto all’Assemblea costituente, parlamentare, politico di razza. Ma soprattutto un grande sindacalista e un uomo amato e rispettato, nel quale le persone hanno riposto le loro speranze di una vita e di un mondo migliore. [Fondazione Di Vittorio]
L’ultimo discorso di Di Vittorio
Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta. […]
Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. […]
Avete visto che cosa è avvenuto: mano a mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora continua. […] Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a 105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. […]
La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte, delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.
Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.
Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire.
Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni.
[Da Lottate insieme, restate uniti, dall’Ultimo discorso pronunciato al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di Lecco, 3 novembre 1957]
Uomo immenso, visionario ai tempi..sintesi perfetta di coraggio, umiltà, cultura e fervore politico.
Altro che Bellanova e PD attuale,
Si starà rigirando nella tomba.
Tanti sacrifici per poi vedere in TV le sinistre in collegamento nei loro salotti lussuosi tutte agghindate in posa social.
Mi fate schifo.