Perché sul business dei rifiuti di Cerignola non tutti i candidati sono chiari?

Da una parte c’è la raccolta differenziata, su cui sia Metta che Bonito hanno già fatto sapere di voler mettere mano perché l’organizzazione così disposta crea più disservizi che vantaggi; dall’altra però c’è l’impiantistica, ossia il vero business in grado di poter variare sensibilmente il costo della TARI perché avere attrezzature in grado di lavorare in loco l’immondizia permetterebbe di tagliare le spese per i cittadini, oggi vessati per il doppio aumento del +19% e +36% disposto dalla amministrazione Metta.

Quella dei rifiuti è una partita cruciale. Quella degli impianti, invece, è semplicemente vitale. Dare gli impianti ad una società pubblica o a maggioranza pubblica, come proposto da Giannatempo, Bonito, Sgarro, De Cosmo è una misura  di certo non rapidissima ma che consente al Comune di tenere la proprietà degli impianti e quindi calmierare i costi. Il privato deve ottimizzare i costi, indipendentemente da quanto questi saranno scaricati sui cittadini.

Eppure la “privatizzazione” degli impianti è materia assai scivolosa. L’ex presidente dell’ANAC – autorità nazionale anti corruzione – nel 2019 spiegava senza mezzi termini che in Italia vi sono “numeri elevatissimi di imprese sottoposte a interdittive antimafia non solo nelle regioni meridionali. Il tema dell’infiltrazione mafiosa o paramafiosa nel sistema dei rifiuti è diventato quasi costante nonostante l’impegno forte delle prefetture – ha rilevato Cantone – in certi contesti è difficile individuare soggetti che possano sostituire le imprese interdette”.

Con queste premesse, e per scongiurare qualsiasi rischio, è bene che tutti i candidati esprimano chiaramente la propria posizione sulla privatizzazione, o meno, degli impianti di Cerignola che si trovano in contrada Forcone Cafiero. Oltretutto perché il Comune è stato già interessato dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose.