venerdì, Novembre 22, 2024
Capitanata

Foggia: spiava i conti correnti dei vip. Licenziamento legittimo

Marchiodoc - Spiava conti correnti Vip
Marchiodoc – Spiava conti correnti Vip

È legittimo il licenziamento del ‘bancario’ che si metta a curiosare tra i conti correnti dei Vip in assenza di qualsivoglia autorizzazione. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di cassazione, sentenza n. 34717 depositata oggi, rigettando il ricorso un addetto al servizio clienti della filiale Unicredit di Foggia.

A seguito di una segnalazione da parte della Outgoing Foreign Payments Office di UBIS (società del gruppo UniCredit), la banca, avuto contezza del comportamento scorretto e dell’assenza di alcuna autorizzazione, aveva contestato al dipendente “l’accesso abusivo o comunque non consentito, al sistema informatico della Banca per controllare decine di schede-cliente di personaggi dello spettacolo carpendone quindi i dati sensibili”. E poi lo aveva licenziato.

Il dipendente era stato poi reintegrato dal Tribunale di Foggia ma la Corte di appello di Bari, rovesciando il verdetto, aveva confermato il licenziamento, condannandolo anche alla restituzione delle eventuali somme percepite a titolo indennitario. Proposto ricorso in Cassazione, aveva sostenuto, tra l’altro, che siccome la banca non aveva in alcun modo protetto i dati contenuti nella “scheda cliente”, egli aveva ritenuto di “non violare i dati sensibili altrui”.

Per la Suprema corte però il motivo non convince: “Il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie presso un istituto bancario – si legge nella sentenza – non è di certo sinonimo di accesso indiscriminato a banche dati. Né si può ritenere, nel caso di specie, che sussista un onere di impedire l’accesso a tali dati da parte della banca, che, stante il rapporto fiduciario tra datore e prestatore di lavoro, conceda l’utilizzo di tali strumenti informatici ai propri dipendenti affinché operino in maniera lecita durante la prestazione lavorativa”.

Bocciata dunque definitivamente la tesi del ricorrente che, scrive la Corte, “ancora una volta, tenta di invocare una sorta di esimente per elidere l’illiceità del suo comportamento, imputando paradossalmente alla banca la mancata predisposizione di adeguate protezioni dei dati dei clienti”.




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