La morte violenta per mano della criminalità comune: storie di donne che resistono
Un libro duro, che racconta con durezza la resistenza delle donne che hanno perso un marito, un padre, un figlio, un fratello a causa della cosiddetta criminalità comune: questo è “C’è ancora tempo – storie di donne che resistono”, pubblicato da Terra Somnia Editore e scritto da Paolo Miggiano, giornalista salentino che vive a Caserta, presentato sabato 28 febbraio a Cerignola presso la libreria BiBlyos di Daniela Tattoli.
Paolo Miggiano, giornalista pubblicista, è autore di numerose pubblicazioni tra cui “In viaggio con la Méhari” in cui narra il viaggio compiuto nel 2013 a bordo dell’auto appartenuta a Giancarlo Siani attraverso l’Italia e terminato davanti al Parlamento Europeo a Bruxelles. Nel 2020 ha co-fondato la casa editrice Terra Somnia.
“Ho deciso di raccontare queste storie perché sono storie che cadono nell’oblio – ha spigato Miggiano durante la presentazione – Ho voluto raccontarle andando a guardare non solo il fatto in sé ma anche il vissuto delle donne delle persone cadute. Ho scelto allora una madre, una sorella, una figlia, una moglie. Poi ci sono altre due storie di cui una risalente alla seconda guerra mondiale, ma che pone ancora oggi una riflessione sul ruolo delle donne nella nostra società, e l’altra che parla di una ragazzina che, per vicende di vita normale, resta sola ma resiste”.
L’elemento che caratterizza le vite queste donne è la resistenza, ed il racconto che Miggiano propone è realizzato in maniera dura perché nasce dalla natura rivendicativa del libro: “Qui c’è un problema d’iniquità, ed il mio libro rivendica la necessità di fare conoscere queste storie di criminalità che noi riteniamo a torto meno importante di quelle di criminalità organizzata perché esse coinvolgono un enorme numero di persone in tutta Italia”.
Cosa s’intende per problema d’iniquità? “Se la vittima muore per mano della criminalità organizzata, lo Stato interviene con cospicue forme d’indennizzo e con benefici come il collocamento al lavoro a favore dei familiari. Fino al 2016 non era prevista nessuna forma d’indennizzo per i familiari delle vittime della criminalità comune. A partire da quell’anno, e solo in seguito ad una serie di sollecitazioni da parte dell’UE, esite la legge 122 che prevedeva un risarcimento di soli 7 mila per i cittadini parenti di vittime con reddito annuo non superiore a 11500 euro. In seguito, la soglia è stata portata a 50 mila euro. Tuttavia, a questi familiari non spetta il collocamento al lavoro”.
L’obiettivo, ha continuato l’autore, non è creare contrapposizione tra i familiari delle vittime “ma rivendicare di giustizia e di equità. La questione non è di togliere a chi ottiene un risarcimento superiore, ma di rendere equa la ripartizione. Nell’Associazione del Coordinamento dei Familiari delle Vittime Innocenti convivono familiari di vittime di camorra, quindi indennizzati, e familiari di vittime della criminalità comune. Con un grande senso di solidarietà, i familiari delle vittime di camorra mettono a disposizione dell’associazione una certa somma di denaro affinché a fine anno si possano donare borse di studio ai figli delle vittime della criminalità comune. L’Italia, inserita all’interno di un contesto europeo, si è invece ostinata a non ottemperare le sollecitazioni ad una direttiva comunitaria che chiede che i risarcimenti per i familiari delle vittime di qualunque tipo di reato”.
Un interrogativo che il libro pone è quello relativo al saper conciliare il legittimo desiderio di giustizia dei parenti delle vittime con il principio costituzionale del recupero del condannato. Per di più, ci si chiede quando il desiderio di giustizia sconfini nel desiderio di vendetta: “Ognuna di queste donne ha un proprio modo di vivere il dolore – ha raccontato Miggiano – Carmen è la sorella di Daniele, ucciso insieme al suo amico Loris. L’assassino, di soli 16 anni, è stato condannato a 16 anni di carcere ed ha scontato la sua pena, per me giustamente. Carmen ha affermato che la giustizia abbia fallito perché ha rincorso il falso mito del recupero dei minori. Io non biasimo il suo giudizio, serve una maggiore certezza della pena, ma sono in disaccordo con lei perché la nostra Costituzione afferma la natura di rieducazione della pena”, ha concluso l’autore.