domenica, Novembre 24, 2024
Cultura

L’INTERVISTA | Mons. Galantino: “Basta pensare al Terzo Settore come a una realtà di dilettanti. Per cambiare davvero abbiamo bisogno di leggerezza”

Marchiodoc - Nunzio Galantino

Monsignor Nunzio Galantino è il presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica e presidente della Fondazione della Sanità cattolica. Dal 2012 al 2015 è stato Vescovo della diocesi di Cassano di Jonio, in Calabria, e poi Segretario Generale della CEI. Per i suoi concittadini di Cerignola, però, è tuttora solo don Nunzio, visto che, fino alla sua nomina di Vescovo, è stato il parroco della chiesa di San Francesco (l’antica cattedrale cittadina sita nella Terra Vecchia, il centro storico cerignolano) per ben 36 anni.

Venerdì 29 settembre, don Nunzio è tornato nel suo paese natale per dialogare col cantante Giovanni Caccamo a proposito del volume curato da quest’ultimo ed intitolato “Manifesto del cambiamento”. L’evento, tenutosi a Palazzo Fornari in occasione dei dieci anni di attività della cooperativa Un Sorriso per Tutti, è stato fatto proprio da Caccamo in seguito all’appello rivolto da Andrea Camilleri ai giovani ai quali richiedeva di pronunciare le loro parole di cambiamento della società per la nascita di un nuovo Umanesimo.

Nel volume, il cantautore ha raccolto le riflessioni di 15 giovani che pronunciano ognuno la propria parola. Prima dell’evento, l’Attacco ha incontrato Monsignor Galantino presso il Mondadori Point di Cerignola per una conversazione sul tema del cambiamento relativamente alla società e anche alla sua Cerignola.

Eccellenza, il volume curato da Giovanni Caccamo raccoglie le parole di cambiamento di 15 giovani. Qual è la sua parola di cambiamento?

Il cambiamento reale non è una parola, è una scelta. Camilleri e Caccamo domandano ai giovani di dire parole di cambiamento, ma queste parole non devono essere “simpatiche”, né vanno presentate in modo rassicurante. Il cambiamento deve già intravedersi nell’atteggiamento di chi propone quella parola, perché esso riguarda prima di tutto le persone.

Lei la nota, questa propensione al cambiamento?

Quel che è certo è che “cambiamento” è una parola mainstream. Bisogna dunque stare attenti perché come parola circola molto, ma che il cambiamento in sé stia circolando, questo è un altro discorso. Cambiare significa abbandonare la comfort zone, rimettersi in gioco e il più delle volte questo non avviene.

L’invito a pronunciare le parole di cambiamento è partito da Andrea Camilleri e fatto proprio da Giovanni Caccamo, cioè due artisti. Il fatto che questo invito non sia né partito né fatto proprio dalla classe dirigente cosa significa, secondo lei?

I veri artisti amano la bellezza e, per questo motivo, non hanno interessi immediati. Non è un caso che Giovanni abbia scelto questa strada. Il libro, infatti, è il frutto di una sua iniziativa e ho avuto modo di confrontarmi con lui per verificare il lavoro che si stava sviluppando. Gli ho chiesto spesso la sua impressione sui suoi incontri con i giovani, e mi ha detto che in loro (anche se non in tutti) ha trovato la voglia di puntare in alto. Tuttavia, spesso ci sono impedimenti di natura interiore ed esteriore. Quelli interiori riguardano la comfort zone di cui ho già detto, quelli esteriori non vengono solo dalla politica ma anche dalla cattiva voglia di cambiare abitudini. Il cambiamento è sposare l’inedito e l’inedito non sempre ripaga immediatamente.

La Chiesa è spesso accusata di essere ostile al cambiamento. È davvero così? E cosa può e deve fare nel processo di cambiamento di cui si parla così tanto?

Io sono un prete che ha fatto dell’amore per il cambiamento (pur non riuscendoci su me stesso) il punto di riferimento del proprio operato. La Chiesa è capace di cambiare e, in quanto grande realtà, ha al sul interno tante tensioni anche in senso positivo. Sbaglia chi la intende come entità monolitica. I monoliti esistono in natura, ma è una natura morta. Il punto è un altro: nella Chiesa, il cambiamento può nascere soltanto in persone che hanno il coraggio di porsi di fronte alla Parola di Dio. Quando invece si intende la Chiesa come luogo in cui si ripetono pedissequamente dei riti, delle parole e anche delle preghiere, allora essa è destinata a soffocare.

Lei vede questo pericolo?

No e per un motivo molto semplice. Spesso Papa Francesco mi dice: “La Chiesa non è né mia né tua. Sono convinto che c’è qualcuno che guida la Chiesa molto meglio di me o di chiunque altro”. Vedo ritardi e difficoltà, ma vedo anche tante cose belle.

I suoi incarichi l’hanno portata lontana dalla sua Cerignola. Osservandola da lontano, come ha visto i cambiamenti che l’hanno attraversata?

Quando si osserva una città, si fa subito a dire che sia peggiorata. Ad essere onesto, non ho elementi per giudicare. La pronuncia di un qualsiasi giudizio vorrebbe dire l’essere etichettati politicamente e io non mi sono mai visto collocato in una posizione politica. Ammetto che questo è un mio limite. Cerignola ospita tante belle iniziative. Per esempio, aprire un luogo come la libreria che ci ospita è un atto di grande coraggio, ma è anche segno di volontà di cambiare questa città. Qui esistono anche tante cooperative nate su iniziativa di giovani che non hanno voluto accontentarsi. Ciò che mi ha sempre colpito negativamente, a Cerignola come dovunque, è la difficoltà di queste belle realtà a lavorare insieme.

Questo da cosa dipende?

Il Terzo Settore, che è un elemento vitale per tutta la nostra società, è trascurato dalla classe politica. Se i giovani delle cooperative avessero la certezza di avere a che fare con politici ed amministratori seri, non si metterebbero a fare la guerra tra di loro e non sarebbero costretti a doversi guadagnare sempre l’attenzione. Dovrebbero essere gli amministratori a rivolgere loro attenzione affidandolo loro dei compiti perché sono ritenute importanti e non perché si voglia far loro un piacere.

Come si spiega questa scarsa attenzione?

Il Terzo Settore è ancora considerato come una realtà dilettantistica quando, invece, vede al suo interno dei grandi professionisti che lavorano in contesti complessi. Penso per esempio al lavoro con i bambini con disabilità per cui c’è bisogno di empatia, cosa che manca al professionista puro. Vorrei che chi amministra guardasse con maggior attenzione a questi giovani che si sentono eternamente dei precari. Anzi, è più di una sensazione: è un dato di fatto. Questo genera concorrenza tra le cooperative, e la concorrenza nel Terzo Settore non è un bene, questo bisogna sottolinearlo con forza. Ogni cooperativa dovrebbe coprire uno spazio specifico che, in genere, le amministrazioni o non prevedono o non riescono a seguire con la necessaria passione. Lavorare nel Terzo Settore è una vocazione e, al suo interno, ci lavora gente che mira a dare seriamente il proprio contributo per cambiare la realtà.

Lei ha parlato dei suoi limiti già due volte. Quali sono i suoi limiti?

Ne ho tanti! Chi mi conosce bene ne conosce tanti anche se non tutti. Il saper riconoscere i propri limiti è un volano per migliorarsi e aiuta nelle relazioni con gli altri. Due categorie di persone non sono in grado di vedere i propri limiti: i morti e gli stupidi. Per motivi diversi, ovviamente.

Se lei dovesse pronunciare una parola per il cambiamento di Cerignola, quale sarebbe?

Leggerezza. Questa parola non è sinonimo di superficialità. Italo Calvino diceva che bisogna planare con leggerezza sulle cose importanti. Se ci sia guarda con leggerezza, ci si rende conto che i propri limiti non impediscono di migliorarsi.

Questo vuol dire che lei trova greve l’atmosfera presente in questa città?

Ciò che ho detto prima a proposito del Terzo Settore va detto in maniera forte anche per quanto riguarda la cultura. Mi preoccupa pensare alle tante librerie che, fin da quando ero ragazzo, qui hanno cominciato con grande entusiasmo e poi hanno chiuso. Se manca una cultura diffusa, le librerie diventano un peso per chi se le inventa, quando invece devono diventare luoghi d’incontro. Bisogna evitare i discorsi pesanti e fare discorsi leggeri che danno alle persone gli strumenti critici per capire la realtà che si vive e quale sguardo gettare sul futuro.

Giovanni Soldano, tratto da L’Attacco


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Dialogatore
1 anno fa

Quante belle parole, per come vengono considerati e trattati meglio affidarsi alla cassetta dell’elemosina.

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