Minacce platealmente mafiose: pistola alla tempia in pubblico
Sono otto i cerignolani indagati – 3 in carcere, 5 a piede libero – nell’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e condotta dai carabinieri del reparto operativo di Foggia relativa a rapine, tentativi di estorsione e minacce ad un imprenditore di Cerignola sfociata nel blitz del 26 settembre con l’arresto di Stefano Di Tommaso, 49 anni, detto «Gino», ritenuto al vertice del clan «Taddone»; e dei nipoti Antonio Rubbio di 28 anni, soprannominato «Pzzudd»; e Antonio Russo di 29 anni, soprannominati «Baccalà ».
I primi due erano stati catturati all’alba, Russo venuto a conoscenza che i carabinieri lo cercavano si era costituito in carcere qualche ora dopo.
8 INDAGATI, 7 IMPUTAZIONI – Gli 8 indagati sono accusati a vario titolo di 7 capi d’imputazione per fatti avvenuti tra il dicembre del 2015 e il giugno successivo. La Dda contesta a vario titolo agli 8 indagati la rapina con sequestro di persone; l’autori -ciclaggio; la violenza privata aggravata dall’uso di armi con l’aggravante; il tentativo di estorsione aggravato sempre dalla mafiosità ; ed a 4 potenziali testimoni il favoreggiamento. La Dda aveva chiesto al gip l’arresto dei 3 indagati poi finiti in carcere e l’obbligo di firma per i 4 testimoni ritenuti reticenti, richiesta accolte parzialmente dal gip di Bari Francesco Pellecchia.
RAPINA E SEQUESTRO – Il primo atto dell’indagine e dell’incubo vissuto dall’imprenditore del centro del basso Tavoliere risale al 12 dicembre del 2015 quando la vittima fu rapinata. Di rapina, sequestro di persona e armi rispondono Antonio Rubbio (il gip ha disposto l’arresto per questa imputazione) e un altro cerignolano indagato a piede libero. Furono 4 banditi incappucciati e armati di pistola a costringere la vittima a consegnare la sua «Mercedes Cls» del valore di 85mila euro; e costringerla a salire sull’auto in uso alla banda (da qui l’accusa anche di sequestro di persona), fin quando l’imprenditore si liberò lanciandosi dall’auto in corso. Contro Rubbio c’è il fatto che l’indagato era presente in un salone da barba dove la vittima si trovava poco prima d’esser aggredita, sequestrata e rapinata dell’auto; e che indossasse pantaloni e scarpe uguali a quelli di uno dei rapinatori.
L’AUTORICICLAGGIO – Lo stesso Rubbio risponde poi di autoriciclaggio ed anche per questo reato il gip ha detto «sì» alla richiesta di arresto avanzata dal pm: in concorso con altre persone, il giovane cerignolano – dice l’accusa – avrebbe smontato la «Mercedes» rapinata per ricavarne vari pezzi. «che rivendette presso la propria rivendita di parti di ricambio nuove e usate di cui è titolare a Cerignola», hanno detto i carabinieri nella conferenza stampa in concomitanza con il blitz del 26 settembre.
PISTOLA IN FACCIA E MINACCE- Il gip Pellecchia ha accolto la tesi della Dda e risposto l’arresto di Stefano Di Tommaso e Antonio Russo per violenza privata aggravata dall’uso dell’armi e dalla mafiosità , per quanto successo nel giugno del 2016 ai danni dello stesso imprenditore rapinato dell’auto nel dicembre precedente. I due indagati avrebbero affrontato la vittima in un locale pubblico, puntandole la pistola alla fronte e dicendo: «chi ti ha detto che la tua macchina l’abbiamo presa noi?
Se non ce lo dici ti portiamo per le campagne e vedrai che ti succede. Ti abbiamo avvisato, domani viene a San Samuele» (un quartiere di Cerignola) «dammi il nome e ti faccio vedere io cosa gli faccio, altrimenti vengo da te». Le minacce sarebbero state formulate da Russo spalleggiato da Di Tommaso, che avrebbe chiesto alla vittima se avesse capito quanto le era stato appena detto.
LA MAFIOSITà€ – «Siamo davanti ad un caso di violenza privata aggravata dall’uso dell’arma; ed è comprovato» scrive il gip nell’ordinanza cautelare «il ricorso alla minaccia grave, sia esplicita che velata, da parte dei due indagati che non hanno esitato a mostrare e puntare un’arma alla testa del povero interlocutore per costringerlo a rivelare la fonte delle sue conoscenze in merito alla rapina». E il gip concorda con la Dda anche sulla sussistenza dell’aggravate della mafiosità per i metodi usati. «Appare evidente» annota il giudice firmatario dell’ordinanza cautelare «come la condotta illecita sia caratterizzata dall’adozione di metodiche tipiche dell’agire mafioso, considerate in particolare le modalità plateali della condotta illecita che appare chiaramente finalizzata a provocare allarme sociale, nonchà© ad attribuire evidenza pubblica a quanto successo all’interno di un esercizio commerciale da parte di due persone che non hanno esitato a agire a volto scoperto, confidando più che fondatamente – come i fatti hanno dimostrato – nel contegno fortemente omertoso dei presenti».
NESSUNA ESTORSIONE – Stefano Di Tommaso è indagato a piede libero anche per tentata estorsione aggravata dalla mafiosità (il pm chiedeva l’arresto anche per questa imputazione, il gip ha ritenuto insussistenti i gravi indizi) perchà© nel marzo 2016 avrebbe avvicinato l’imprenditore, rievocandogli la rapina subita e chiedendo l’assunzione di un detenuto che doveva essere scarcerato. Per il gip però «non sembra ravvisabile la concreta configurabilità di una minaccia».
I TESTIMONI RETICENTI – Rigettata infine dal gip la richiesta della Dda di imporre l’obbligo di firma ai 4 testimoni indagati per favoreggiamento. Tre furono interrogati dai carabinieri sia in relazione alla rapina dell’auto subìta dall’imprenditore nel dicembre 2015 sia alle minacce plateali ricevute nel giugno 2016: avrebbero negato di aver assistito ai fatti. Il quarto indagato di favoreggiamento è un commerciante che avrebbe negato di conoscere chi usò una carta di credito usata per acquistare merce nel suo negozio e che era stata rapinata all’imprenditore nel dicembre 2015. Per il gip non sussiste il pericolo di recidivazione dei reati, da qui il «no» alla richiesta dell’accusa di imporre ai 4 testimoni l’obbligo di firma. (da La Gazzetta del Mezzogiorno)