Oggi è il Dantedì e Cerignola ha già la sua “Deveina Cummedie”
Il 25 marzo, secondo i dantisti, è la data in cui Dante Alighieri iniziò il suo viaggio negli inferi della Divina Commedia. E dal 2017 l’Italia celebra ogni anno, in quella data, il Dantedì, ossia una giornata dedicata al Sommo Poeta. Di un’attualità disarmante, il suo cammino nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso è una pietra miliare della letteratura italiana di tutti i tempi, capace di raccogliere intorno a sé l’identità di una nazione. Ricopiate a mano dal 1300, tramandate nelle loro traduzioni, citate in ogni occasione, le opere di Dante oggi assumono una valenza ancora più simbolica perché ricordate in occasione del settimo centenario della morte del padre della lingua italiana.
Ed anche Cerignola, al netto delle manifestazioni nelle scuole, ha già degnamente ricordato il sommo poeta con una rivisitazione tutta in cerignolano dello studioso Riccardo Sgaramella, già faro del racconto del dialetto cerignolano, che nel 2015 ha dato alle stampe “La deveina cummedie”, traduzione della massima opera della letteratura italiana in vernacolo pugliese.
L’amòure ca a cchi è amete d’amè non perdòune, me pegghjé de quiss nu vuleisce fort acchessì ttand, ca cume veite, angòure non m’abbandòune. E fu una data non casuale, quella della pubblicazione de “La Deveina Cummedie”, perché il 2015 coincise col 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri.
E così la traduzione in vernacolo, come spiegava Sgaramella a Barinedita, nasceva per “nobilitare il cerignolano, troppo spesso bistrattato. Proprio per questo ho scelto una grande opera, facendo in modo di esplorare le potenzialità del linguaggio pugliese, legandolo in più alla musicalità della rima, della metrica. Che poi detto tra noi anche la Divina Commedia è scritta in dialetto, per la precisione in volgare fiorentino”. Ma quella di Sgaramella non è stata una traduzione tout court dell’opera del Sommo Poeta. Anzi, una sorta di analisi del testo traslata nel gergo pugliese. Significativa la reinterpretazione dei versi iniziali che da: “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”, diventa: “A mmetà de la veita nostr satta satt, m’acchjapp inda nu vosch sscoùre, daźź ca de viźźje ssteve sstrafatt“, a significare quanto il mezzo delcammin di nostra vita vada inteso come abbandono ai vizi e non come semplice tappa anagrafica.
sinceramente a me sembra una forzatura riproporre dante in cerignolano… mah
la solita invidia dei cerignolani