Il parente scomodo: Franco Conte narra di Cerignola col fez
Un enorme successo di pubblico ha riscosso la presentazione dell’ultimo libro realizzato da Franco Conte, eminente cultore della storia locale forgiato alla scuola informale radunatasi attorno all’eminente avvocato D’Emilio anni orsono, da cui uscirono gli altri noti studiosi Luciano Antonellis e Antonio Galli, quest’ultimo presente come secondo ospite alla serata organizzata da Oltre Babele, guidata da Rita Pia Oratore, in collaborazione con l’associazione AAD di Raffaele De Filippis e Giuseppe Schiavone.
Ancora il molti non fanno alcuna fatica a scordare i convegni pubblici che D’Emilio dirigeva in Piazza Matteotti, alla vigilia della festa Patronale, attraverso i quali, assistito dai giovani ricercatori della sua Daunia Sud, sviscerava ogni anno una tappa storica diversa di Cerignola. Fattore calamitante è stato sicuramente il tema scelto da Conte, a lungo relegato nel dimenticatoio per ovvi motivi emozionali e ideologici, quale è stato il periodo fascista nel paese di Capitanata in cui la trattazione prende le mosse dal primo decennio del Secolo Breve per raggiungere l’immediato secondo dopoguerra.
Il libro, edito dalla casa editrice Nicorelli, il cui titolare è il compaesano Nicola Quacquarelli, esce dopo una gestazione difficile durata due anni, corredata da una prefazione del pluripremiato giornalista e scrittore Natale Labia, valido conduttore della serata letteraria, resa ancora più ostica dalla generale distruzione del materiale privilegiato la cui rivisitazione ha permesso la stesura del corposo volume. Infatti Franco Conte ha dovuto rivolgersi, per rinvenire le fonti giornalistiche relative al Ventennio, all’archivio della Biblioteca Provinciale Magna Capitana e all’Archivio regionale di Bari. Scelta che si discosta dalle altre pubblicazioni di storia autoctona, perlopiù basate su altri tipi di documentazione, in larga parte orale e legata ai trattatisti d’epoca, ma che ha permesso, a detta dell’autore, di rendere con maggior pathos e partecipazione gli eventi traumatici della città che si avviava a raccogliere i 40.000 abitanti o pressappoco nel terzo decennio del Novecento.
Nel libro di Franco Conte è descritta la fiera e tragica resistenza opposta dal piccolo centro di fede precocemente socialista nei confronti del regime in costruzione, ben testimoniati dagli scontri e dai torbidi scoppiati nel biennio ’20-’22, prima che le forze retrive e oppressive della grande borghesia agraria decretasse la vittoria delle camicie nere con il loro sostegno. Cerignola ha avuto tre podestà , benchè per il primo di essi, Domenico Farina, di tempra meno feroce, sia stato espresso un giudizio meno duro, data la relativa serenità con cui furono svolte le elezioni comunali. Solamente con Alfredo Reibaldi incomincia il periodo dittatoriale vero e proprio, culminato con la reggenza di Sabino Labia, prima che la riscossa dei cittadini sancisse il ritorno alla democrazia e alla libertà civile.
Grande protagonista del libro è Giuseppe Caradonna, figlio ripudiato di Cerignola a lungo gravato da una cappa di oblio, ma che ha rappresentato un personaggio di spicco nel panorama italiano dell’epoca, quale plenipotenziario del Mezzogiorno per il Partito Fascista e condottiero delle legioni meridionali durante la Marcia su Roma, dall’opinione comune ritenuto responsabile morale di molti omicidi fra i dissidenti del regime.
Grande attenzione è dedicata anche alle dinamiche che portarono all’espansione urbanistica di Cerignola, quando fu inaugurato il rione Cittadella, che divenne la casa dei molti braccianti attirati dai lavori stagionali in pieno fermento, i cosiddetti “”mar’neis””, gente umilissima priva persino di un proprio cognome, provenienti da Bisceglie e Andria in prevalenza. Franco Conte non si esime da una riflessione attuale su quanto lo sviluppo urbanistico di Cerignola sia stato sbilanciato in maniera preponderante nell’indirizzo del suo versante prospiciente all’hinterland barese, mentre l’asse diretto verso il foggiano – la zona Torricelli – sia stato sempre fortemente penalizzato dal punto di vista economico e amministrativo. E non risparmia un’amara constatazione sulla permanenza a lungo incontrastata di una classe dirigente cieca alla maggioranza contadina e deferente solo alla grande proprietà , il suo status symbol è stato per decenni il Teatro Mercadante, realizzato a immagine del San Carlo di Napoli ed eretto a lode dello sfarzo esclusivo della classe dominante, fino a quando un leader della dignità operaia, il nostro Giuseppe Di Vittorio, si prefisse lo scopo di dare come uno dei fini della sua militanza politico-sociale l’obiettivo di aprire i battenti anche ai “”cafoni”” e alle loro mogli.
Enrico Frasca