Pigi Battista alla Fiera del Libro: Mio padre era fascista
Sembra proprio che il retaggio del Ventennio non accenni a eclissarsi, se a distanza di settant’anni dalla svolta la tanto ventilata pacificazione tarda ad arrivare. Il passato continua ad apparire più frammentato che mai, e continua ogni anno a ripresentarci il conto.
All’inizio fu il sasso lanciato nello stagno della pubblicistica storia con il Sangue dei Vinti, lanciato da Giampaolo Pansa, da cui fu tratto il tanto ostracizzato film di Michele Soavi. Poi, da qualche mese, è apparso il nuovo libro di Pierluigi Battista, insignito del premio Tatarella, e finito al centro del dibattito durante la prima giornata della Fiera del Libro di Cerignola. Ma guai ad accostare i due libri in un paragone che all’autore non piace proprio. Pansa è Pansa, questa è un’altra cosa. Il sangue dei vinti è il racconto della Storia, il mio è il racconto di una storia, la mia chiosa a margine dell’evento quando si rende disponibile alle domande.
Il libro ripercorre infatti la storia di un rapporto fra padre e figlio, che non ha preso il volo a causa delle incomprensioni generate da scelte politiche opposte. Da un lato il padre, partito volontario poco più che ragazzo per l’epilogo del regime, la Repubblica di Salò, da cui torna segnato nella mente e dopo aver rischiato la morte. Dall’altro un ragazzo che sboccia durante la stagione dei grandi conflitti politico-generazionali, ai tempi di quando uccidere un fascista non è reato. Battista tratteggia un ritratto affettuoso del padre, ricordato nella sua integrità umana e professionale, come esempio di dedizione alla carriera forense in cui si distingue per la sua imparzialità e rigore. Magnanimità che il grande editorialista dichiara totalmente assente negli attuali epigoni dell’estrema destra. Se sono estremisti non possono essere magnanimi. Negli estremisti di oggi vedo una radicalizzazione mentale, che impedisce una complessità del pensiero che nel mondo di mio padre c’era.
Il fascismo di papà Vittorio, innanzitutto, è un fenomeno chiuso. Inutili, secondo Battista, i revival attuali del populismo europeo e i confronti con il terrorismo islamico. Innanzitutto, fu l’anagrafe, con la morte dei protagonisti della stagione convulsa del dopoguerra. Poi, l’impossibilità di ripetersi nel continuum storico. E’ solo un modo di dire. Vedo più rapporti con il nazismo, nella sua volontà di annientamento, e nel suo antisemitismo, sentenzia da strenuo difensore della causa ebraica quale è stato nei suoi innumerevoli interventi pubblici.
Battista nega l’equazione fra regime fascista e ideologia missina, riconoscendo la plasticità di pensiero dello storico leader Almirante, vera stella polare per il padre, che lo ha portato a stracciare la tanto amata tessera di partito nell’anno della sua morte, il 1988. Anno in cui il padre lasciava per sempre il figlio, all’epoca giornalista per La Stampa, ma che avrebbe permesso nella drammaticità dell’evento il riavvicinamento necessario alla cessazione delle ostilità . In effetti, non è che i dittatori piacessero un granchè all’avvocato Vittorio Battista. Mio padre, da come l’ho conosciuto, non avrebbe sicuramente appoggiato i dittatori delle Filippine della Corea del Nord, che non è fascista, ma comunista, corregge con bonarietà questo cronista inesperto, da giornalista navigato, ma con una correzione che non fa male a chi la riceve.
Enrico Frasca