[CINEMA] Brooklyn, il revival che non impegna
[ LUMIERE EXPRESS ] Al cinema, si sa, ogni tanto bisogna pur andarci con il semplice scopo di rilassarsi, o per soddisfare le velleità romantiche della vostra girlfrienf. E la vostra dolce metà potrebbe trovare interessare il film in questione.
Brooklyn, diretto da John Crowley (non un parente di Mr Crowley) e interpretato da Saoirse Ronan, la dolce cerbiatta lanciata da un regista di ben altro calibro come Peter Jackson in Amabili resti, non richede sforzi di decifrazione o particolari gusti artistici, ma ha il pregio non trascurabile di badare moltissimo alla forma e al contenuto, puntando tutto sull’ambientazione e su una rappresentazione un po’ troppo calcata degli stilemi del vecchio cinema puritano della Golden Age of Hollywood. Un po’ alla Frank Capra, assistiamo ad una totale sublimazione del sogno americano, che però può benissimo regalare due ore di intrattenimento sobrio e comunque ben interpretato. Zuccheroso, insomma, ma mai caricato fino a farne un film caramelloso. La glicemia non ne risentirà troppo.
Dicevamo che la dolce ragazza dalle efelidi deliziose interpreta una giovane commessa irlandese che, ad un certo punto, pianta in asso una vecchia padrona bisbetica e petulante per fuggire nella terra promessa degli Stati Uniti, destinazione Brooklyn. Approdata nel Paese dei Balocchi, grazie all’interessamento di un gioviale e solerte parroco (un frizzante Jim Broadbent che depone la toga del professor Lumacorno di Harry Potter ma che conserva i suoi occhietti vispi) trova lavoro presso un negozio di alta moda e contemporaneamente frequenta i corsi serali alla facolta di Economia. Tutto fila liscio, tra cene in comune e serate domenicali in parrocchia, fino a quando la nostra ragazza incontra Tony, uno scugnizzo italiano di seconda generazione di bella presenza e di buon cuore, un teddy boy che ogni signora vorrebbe a braccetto con sua figlia. Una volta Intascato il diploma e messo da parte un buon gruzzoletto, i due piccioncini ripartiranno per l’Irlanda, dove dopo aver faticato un po’, ritroveranno subito l’intesa con l’ambiente e tutto trionfa. Mi duole deludere chi si aspettava i folletti con tweed ad attendere la protagonista sul molo. Ma pazienza.
Il film in questione ha una trama un po’ scialba e semplicistica, è da ammetterlo, ma sull’altro piatto della bilancia ci sono pregi che alzeranno l’asticella. Innanzitutto i dialoghi, brillanti e briosi, di un brio che non fa male e rilassa, memori di un cameratismo femminile avulso dalla frivolezza licenziosa imperante al giorno d’oggi, ma in fondo c’era da aspettarselo, con un cavallo di razza come Nick Hornby come cosceneggiatore. Subito dopo, gli interni, ariosi e luminosi in sintonia con la primavera che sboccia e ricostruiti alla perfezione, vero fiore all’occhiello di un periodic drama che si rispetti Con tanto di macchina automatica da resto che campeggia sul bancone della maison. E che pezzi di figliole, le comprimarie, tutte ben definite, con una caratterizzazione definita, anche se appena accennata. Motivo per cui non ha sfigurate nelle corse alle nomination a vari premi cinematografici, portandone in saccoccia qualcuno.
A metà fra Emile Zola e Jane Austen, il prodotto si configura come un Harmony di gran classe, che ambisce a ritagliarsi uno spazio fra le produzioni inesauribili dedicate al tema dell’emigrazione degli inizi del Novecento.
Un punto da non sottovalutare è lo stesso idillio che vivono i due amanti del film, un’irlandese e un italiano, provenienti da due popoli che se ne sono date di santa ragione sul suolo americano. L’odio etnico, forse alimentato da un desiderio di rivalsa dei poveri italiani contro gli agiati irlandesi, ha alimentato faide malavitose epiche e sanguinarie e perdura tutti oggi, seppur in forme attenuate.
Un film di impronta televisiva, che dimostra di poter gareggiare nel panorama cinematografico senza indulgere alla morbosità contemporanea, ma che restituisce un quadro a tinte rosa di un epoca che fu, senza andare all’ospizio a svegliare i propri nonni in cerca di una rievocazioni. Lo vedevate o no, Georgie, da marmocchi?
Enrico Frasca